STATO DI NECESSITA' E NON PUNIBILITA': COME DIFENDERSI NEL PROCESSO PENALE
Come ed a quali condizioni si può invocare lo stato di necessità nel processo penale?

Come sostenere lo stato di necessità in un processo.
Per rispondere immediatamente alla domanda, va specificato come, secondo la Corte di Cassazione, l'esimente dello stato di necessità, prevista dall'art. 54 c.p., postula che il pericolo attuale di un danno grave alla persona non sia scongiurabile se non attraverso l'atto penalmente illecito.
Nel processo penale, peraltro, vige l'obbligo per chi voglia dimostrare dei fatti o delle asserzioni, di allegare documentazione in tal senso o dimostrare altrimenti, con altri mezzi di prova, quanto si sostiene. Non basta, cioè, una mera dichiarazione dell'imputato - tanto più se fatta solo dal suo avvocato - giacché questa non servirebbe a nulla se non sostenuta o corroborata da altri elementi che la confermino.
Per tale ragione, è necessario che venga dimostrata concretamente, la sussistenza del pericolo del danno grave ed attuale nel quale versava l'imputato e l'impossibilità di agire diversamente da come l'imputato ha agito, rimanendo nella liceità.
Quando l'esimente dello stato di necessità non può essere invocata.
Da ciò deriva che lo stato di necessità non può applicarsi ai reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora a questo possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti (Sez. 3, n. 35590 del 11/05/2016, Rv. 267640; in termini, pure Sez. 5, n. 3967 del 13/07/2015, Rv. 265888, che ha escluso detta causa di giustificazione finanche in presenza di una situazione di indigenza, sul presupposto che alle esigenze delle persone che versino in tale stato sia possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale, con conseguente difetto degli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo).
Le applicazioni dell'esimente dello stato di necessità nell'ambito di alcune figure delittuose.
La lettura
normativa che la Corte di Cassazione ha dato nel corso del tempo trae ulteriore
conferma dalla giurisprudenza di legittimità formatasi in materie diverse da
quella del peculato: per esempio, per ciò che concerne gli obblighi
previdenziali e l'imposizione tributaria diretta, che disciplinano condotte del
tutto analoghe, sotto il profilo in esame, a quella oggetto di giudizio.
E'
indiscusso, infatti, che il reato di omesso versamento delle ritenute
previdenziali ed assistenziali sia integrato dalla consapevole scelta di
omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in
presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare
preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei
mezzi destinati allo svolgimento dell'attività di impresa, e di pretermettere
il versamento delle ritenute all'erario. E' infatti suo onere quello di ripartire
le risorse esistenti all'atto della corresponsione delle retribuzioni in modo
da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l'impossibilità
di pagare i compensi nel loro intero ammontare (Sez. 3, n. 43811 del
10/04/2017, Rv. 271189; Sez. 3, n. 38269 del 25/09/2007, Rv. 237827).
Così,
pure, nell'ipotesi di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10- bis,
d.lgs. n. 74 del 2000), la colpevolezza del sostituto d'imposta non si ritiene
esclusa dalla crisi di liquidità intervenuta al momento della scadenza del
termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa all'esercizio
precedente, a meno che l'imputato non dimostri che le difficoltà finanziarie
non siano a lui imputabili e che le stesse, inoltre, non possano essere
altrimenti fronteggiate con idonee misure anche sfavorevoli per il suo
patrimonio personale (Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Rv. 258055).
E può essere altresì utile rammentare - in una visione sistematica dell'ordinamento penale - come, nel tracciare la linea di demarcazione tra "stato di necessità", inteso come «quello tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta», e "stato di bisogno", rilevante in tema di usura e rappresentato da «un impellente assillo, che, limitando la volontà del soggetto, lo induca a ricorrere al credito a condizioni usurarie», questa Corte abbia ricondotto a tal ultima situazione, e non alla prima, le difficoltà economiche connesse alla attività professionale o imprenditoriale (Sez. 2, n. 10795 del 16/12/2015, Rv. 266162).