Rapina impropria: la Corte di Cassazione tra tentativo e consumazione.
Exursus giurisprudenziale in tema di rapina impropria, tra tentativo e consumazione.

Va premesso che, con sentenza n. 34952 del 2012, le Sezioni unite della Corte di Cassazione - superando il precedente contrasto giurisprudenziale - hanno stabilito che "È configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l'agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l'impunità" (Cass., sez. un., n. 34952 del 19/04/2012, imp. Reina, Rv. 253153).
La pronuncia citata assume speciale
importanza, non solo per il principio appena richiamato che ammette la
configurabilità del tentativo di rapina impropria, ma anche per aver
posto in chiaro un'importante differenza - quanto alla consumazione del
reato - tra la fattispecie della rapina propria (art. 628 c.p., comma 1)
e quella della rapina impropria (art. 628 c.p., comma 2):
1) la rapina propria si consuma (come il furto) solo quando che si sono
verificati sia la sottrazione della cosa mobile altrui sia
l'impossessamento della stessa;
2) la rapina impropria, invece, si consuma con la sola sottrazione della
cosa, senza che occorra che si sia verificato anche l'impossessamento.
Sul punto, le Sezioni Unite hanno sottolineato che "l'art. 628 c.p.,
comma 2 fa riferimento alla sola sottrazione e non anche
all'impossessamento, ciò che conduce a ritenere che il delitto di rapina
impropria si possa perfezionare anche se il reo usi violenza dopo la
mera apprensione del bene, senza il conseguimento, sia pure per un breve
spazio temporale, della disponibilità autonoma dello stesso"; ed hanno osservato che, ai fini della configurazione della rapina impropria, "il
legislatore (...) non richiede il vero e proprio impossessamento della
cosa da parte dell'agente, ritenendo sufficiente per la consumazione la
sola sottrazione, così lasciando spazio per il tentativo ai soli atti
idonei diretti in modo non equivoco a sottrarre la cosa altrui".
Va osservato, infatti, che l'impossessamento non costituisce elemento
materiale della fattispecie criminosa, ma è richiesto dalla norma
incriminatrice - ai fini della configurabilità del reato di rapina
impropria solo come scopo della condotta, in alternativa allo scopo di
procurare a sé o ad altri l'impunità. L'impossessamento non costituisce,
cioè, l'evento del reato, necessario per la sua consumazione, ma è
posto a base del "dolo specifico" richiesto dalla norma incriminatrice
(art. 628 c.p., comma 2), dimodochè, ai fini della consumazione del
reato, non è necessario che l'agente consegua effettivamente
l'impossessamento della res: è sufficiente che egli abbia usato la
violenza o la minaccia al fine di conseguirlo. Esiste, peraltro, una
radicale diversità concettuale tra "sottrazione" e "impossessamento": la
prima consiste nel mero "spossessamento" altrui, ossia nel fatto che
altri venga privato del possesso di una cosa; l'"impossessamento",
invece, consiste nell'acquisto del possesso sulla cosa sottratta ad
altri, ossia nel fatto che l'agente acquisti su di essa una signoria
indipendente e autonoma. E sebbene nella maggior parte dei casi
"sottrazione" e "impossessamento" avvengono in una continuità temporale
che può rendere difficile distinguerli, non sempre è così: come
nell'esempio classico del ladro che, trovandosi su un camion in corsa,
getta sulla strada alcune merci (consumando così la sottrazione),
affinché in seguito esse vengano raccolte e fatte proprie dai suoi
complici (così conseguendo solo allora l'impossessamento).
Orbene, questa distinzione tra sottrazione e impossessamento è di
fondamentale rilievo ai fini della individuazione del momento
consumativo della rapina impropria, giacché, una volta esclusa la
rilevanza dell'impossessamento (in quanto non costitutivo dell'elemento
materiale del reato), il discrimine tra "rapina impropria consumata" e
"rapina impropria tentata" rimane affidato proprio alla "sottrazione".
Si può dire, anzi, che la "sottrazione", quale componente
dell'elemento materiale del reato di rapina, assume un ruolo centrale,
nella definizione della figura criminosa della rapina, sotto due
profili: in primo luogo, perché il momento temporale in cui avviene la
sottrazione, rispetto alla violenza o alla minaccia, segna la differenza
tra la rapina propria e la rapina impropria; in secondo luogo, perché
il fatto che la sottrazione sia portata a compimento o meno segna - a
sua volta - la differenza tra la rapina impropria consumata e la rapina
impropria tentata.
Sotto il primo profilo, va osservato che la sottrazione (e le modalità
con cui essa è attuata) costituisce il punto di snodo, che consente di
distinguere la rapina propria dalla rapina impropria. Infatti, mentre
nella rapina propria la sottrazione deve avvenire mediante violenza o
minaccia e, quindi, la sottrazione segue (e non precede) la violenza o
la minaccia, configurandosi come il risultato di esse; nella rapina
impropria, invece, la sottrazione deve avvenire (come nel furto) senza
violenza o minaccia e, perciò, la sottrazione precede (e non segue) la
violenza o minaccia, le quali sono poste in essere, non al fine di
sottrarre la cosa mobile altrui, ma al fine di fine di assicurare a sé o
ad altri il possesso della cosa sottratta o al fine di procurare a sé o
ad altri l'impunità.
Sotto il secondo profilo, poi, la "sottrazione" - a sua volta -
costituisce, a seconda che sia consumata o meno, l'elemento che consente
di distinguere la rapina impropria consumata dalla rapina impropria
tentata.
Infatti, alla stregua di quanto dianzi detto, non è configurabile il
tentativo di rapina impropria per procurarsi l'impossessamento. Essendo
invero l'impossessamento un elemento che fa parte del "dolo specifico"
(quale fine dell'azione), e non costituisce l'evento del reato, perché
la rapina impropria sia consumata, non è necessario che l'agente
consegua effettivamente l'impossessamento della res, essendo sufficiente
che abbia agito al fine di conseguirlo. In altre parole, se vi è stata
la sottrazione della cosa mobile altrui, l'aver adoperato violenza o
minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della res,
costituisce rapina impropria consumata, e non rapina impropria tentata,
anche se l'impossessamento non si verifica. Quanto detto vuoi dire che
la possibilità di distinguere tra rapina impropria consumata e rapina
impropria tentata dipende solo dalla avvenuta consumazione, o meno,
della "sottrazione".