OMESSO MANTENIMENTO FIGLI MINORI: E' UN REATO PERMANENTE.

05.12.2019

Nel caso in cui un genitore separato faccia mancare i mezzi di sussistenza omettendo di versare l'assegno di mantenimento, lo stesso commette un unico reato, quello previsto dall'art. 570 c.p., con cui si sanziona penalmente un'obbligazione civile, per quanto debba trattarsi di inadempimento serio, protratto, tale da incidere sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato deve fornire.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 marzo - 2 dicembre 2019, n. 48910

Presidente Petruzzellis - Relatore Agliastro

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di L'Aquila con sentenza in data 23/04/2018, in parziale riforma della sentenza in data 01/07/2016 del Tribunale di Lanciano, rideterminava la pena in mesi sei di reclusione nei confronti di L.L. imputato del reato di cui all'art. 570 c.p., comma 2, perché faceva mancare i mezzi di sussistenza a due figli minori, omettendo di versare l'assegno di mantenimento di Euro 500,00 mensili, come stabilito dal Tribunale di Lanciano in data 01/12/2005, reato commesso da (omissis) .
Riteneva la Corte di appello che, alla luce delle deposizioni testimoniali e delle produzioni documentali versate in atti, l'impugnazione proposta fosse infondata, poiché il delitto era commesso in pregiudizio dei figli minorenni e per essi, lo stato di bisogno, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione è in re ipsa, anche se alla somministrazione dei mezzi di sussistenza abbia provveduto la madre o altri familiari, poiché tale circostanza non fa venir meno l'obbligo primario di sostentamento che incombe sull'altro genitore.
Quanto alla capacità economica dell'obbligato, la Corte di appello rilevava che la difesa nulla ha provato in ordine ad una eventuale impossibilità dell'imputato di fare fronte alle proprie obbligazioni.
2. Ricorre per cassazione L.L. per il tramite del proprio difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p..
1) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all'art. 81 c.p., art. 521 c.p.p. e art. 6 CEDU.
Si lamenta che il reato contestato, alla luce di una consolidata giurisprudenza, è reato permanente e non reato continuato e in quanto tale, si protrae nel tempo per effetto di una condotta persistente e volontaria.
È stato violato il principio previsto dall'art. 521 c.p.p., di correlazione tra l'imputazione cointestata e la sentenza, perché la Corte di appello, secondo l'assunto difensivo, ha condannato l'imputato per plurime violazioni della norma incriminatrice arrecando pregiudizio per la difesa.
2) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione agli artt. 521 e 522 c.p.p..
Dal testo della sentenza non si comprende se il giudicante abbia voluto riqualificare il fatto quale reato previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies, ovvero abbia voluto solo porre in correlazione le due fattispecie quoad poenam.
Secondo il ricorrente nel caso in esame, l'avere fatto mancare i mezzi di sussistenza non è l'elemento caratterizzante lo schema tipico del reato di cui all'art. 570 c.p. e, pertanto, il giudice avrebbe dovuto assolvere l'imputato ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2.
I reati di cui all'art. 570 c.p., comma 2, n. 2 e di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies rappresentano due ipotesi criminose con presupposti ed elementi strutturali diversi e non sovrapponibili: la fattispecie dell'art. 12 sexies ha riferimento alla condotta della volontaria sottrazione all'obbligo di corresponsione dell'assegno determinato dal Tribunale con la sentenza di divorzio; la violazione dell'art. 570 c.p., presuppone l'accertamento di un elemento ulteriore e cioè "far mancare i mezzi di sussistenza" rappresentando per l'accusa un onere probatorio maggiore e per il giudice una motivazione anche su tale elemento specializzante.
Poiché la Corte di appello ha operato una ridefinizione del fatto-reato, violando il disposto dell'art. 521 c.p.p. ha creato un vulnus difensivo con conseguente nullità della sentenza ai sensi dell'art. 522 c.p.p..

Considerato in diritto

1. Il ricorso va accolto con riferimento alla censura inerente l'aumento per continuazione disposto dal giudice dell'impugnazione; va, invece, rigettato il rilievo critico riguardante la qualificazione giuridica della condotta addebitata, rilievo che viene esaminato per primo, per ragioni di ordine logico.
2. In tema di reati contro la famiglia, il delitto previsto dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 sexies, si configura per il semplice inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno nella misura disposta dal giudice in sede di divorzio. Nel caso in cui un genitore separato faccia mancare i mezzi di sussistenza omettendo di versare l'assegno di mantenimento, lo stesso commette un unico reato, quello previsto dal citato art. 570 c.p., con cui si sanziona penalmente un'obbligazione civile, per quanto debba trattarsi di inadempimento serio, protratto, tale da incidere sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato deve fornire. La violazione meno grave (l'omissione di versamento dell'assegno di mantenimento) - per il principio di assorbimento, volto ad evitare il bis in idem sostanziale - perde la sua autonomia e viene ricompresa nella accertata sussistenza della più grave violazione della norma prevalente per severità di trattamento sanzionatorio.
3. Nel caso di specie, la supposta riqualificazione giuridica, impropriamente evocata in seno al ricorso, non fa mutare il perimetro normativo della fattispecie entro cui la condotta illecita viene sussunta, come del resto dimostrato dall'epigrafe del capo di imputazione che fa riferimento all'art. 570 c.p., comma 2 anche nell'aspetto della mancata corresponsione dell'assegno dovuto a titolo di mantenimento.
Non risulta, pertanto, verificata alcuna violazione del principio di correlazione derivante da una diversa qualificazione del fatto, che per essere rilevante deve comportare una concreta, effettiva limitazione dei diritti difensivi, una modifica strutturale della cornice di accusa originariamente delineata. Peraltro, il motivo di ricorso si rivela del tutto generico, non avendo il ricorrente nemmeno prospettato quale sarebbe stato nella specie il vulnus alla difesa ed all'esercizio al diritto alla prova.
4. Vale rilevare, inoltre, che la condotta sanzionata dall'art. 570 c.p. presuppone uno stato di bisogno: infatti, l'omessa assistenza deve avere l'effetto di far mancare i mezzi di sussistenza; secondo consolidata giurisprudenza - che dai "mezzi per la sopravvivenza" (ossia vitto e alloggio) ha esteso la tutela a ciò che è necessario per le "esigenze della vita quotidiana" (vestiario, canone per le utenze indispensabili, spese per l'istruzione dei figli minori, medicinali) - la nozione di "mezzi di sussistenza" va identificata in ciò che è indispensabile alla vita, a prescindere dalle condizioni sociali o di vita pregressa degli aventi diritto (Sez. 6, n. 12400 del 12/01/2017, Rv. 269728; Sez. 6 n. 49755 del 21/11/2012, Rv. 253908; Sez. 6, n. 49755 del 21/11/2012, Rv. 253908; Sez. 6, n. 2736 del 13/11/2008, dep. 2009, Rv. 242855).
In materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare si è affermato il principio che la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza; ne deriva che il reato di cui all'art. 570 c.p., comma 2, sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria come nel caso di specie - l'altro genitore (Sez. 6, n. 53607 del 20/11/2014, Rv. 261871-01).
5. Quanto al primo motivo, il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all'art. 570 c.p., comma 2, n. 2, è reato permanente, che non può essere scomposto in una pluralità di reati omogenei, essendo unico ed identico il bene leso nel corso della durata dell'omissione, ne deriva che le cause di estinzione del reato operano non in relazione alle singole violazioni, ma solo al cessare della permanenza, che si verifica o con l'adempimento dell'obbligo eluso o, in difetto, con la pronuncia della sentenza di primo grado (Sez. 6, n. 42543 del 15/09/2016, Rv. 26844201; Sez. 6, n. 45462 del 20/10/2015, Rv. 265452).
La natura permanente del reato comporta che la consumazione inizia con la prima condotta omissiva e cessa con l'ultima (nel caso di specie, la prescrizione massima è fissata al 24/06/2019, compreso il periodo di sospensione pari a mesi sette e giorni ventitre); l'inadempimento, che si consolida periodicamente di mese in mese, costituisce, ai fini penalistici, un unico reato, poiché unico è l'obbligo assistenziale, che grava sull'agente, avuto riguardo alla continuità della condotta illecita fino alla sua cessazione.
4, Nel caso di specie, la disamina della contestazione evidenzia l'assenza di indicazione della disciplina della continuazione, nè il giudice di primo grado correttamente vi aveva fatto riferimento; la Corte di appello, pur procedendo ad una riduzione dell'entità della pena, distingueva la pena base in mesi tre di reclusione con aumento di mesi tre a titolo di continuazione (non meglio specificata, se non presumibilmente con riferimento alla maturazione periodica della condotta omissiva, ovvero al numero dei minori titolari del diritto al mantenimento).
Sotto tale profilo, il primo motivo merita accoglimento e pertanto, deve essere disposta la eliminazione di mesi tre di reclusione rispetto alla pena base irrogata.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla ritenuta continuazione, che esclude, e per l'effetto riduce la pena a mesi tre di reclusione. Rigetta il ricorso nel resto.