LIBERAZIONE ANTICIPATA PER PERIODI DI DETENZIONE SOFFERTI ALL'ESTERO
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 5 febbraio - 22 aprile 2020, n. 12706
Quando, a seguito di trasferimento in Italia del cittadino italiano,
condannato a pena detentiva con sentenza irrevocabile emessa da autorità
giudiziaria di paese estero, si debba completare l'espiazione della
pena nel territorio nazionale, il beneficio della liberazione anticipata
può essere applicato con riferimento al periodo di detenzione espiato
nello Stato estero, anche se estraneo all'Unione Europea, a condizione
che esistano disposizioni, contenute in convenzionali bilaterali o
facenti parte del diritto internazionale generale, che consentano
all'autorità giudiziaria italiana l'applicazione degli istituti
dell'ordinamento interno, riguardanti il trattamento penitenziario,
nella sussistenza di tutte le altre condizioni previste dalla L. 26
luglio 1975, n. 354, art. 54"

Ritenuto in fatto.
1. Con ordinanza del 12 giugno 2019, il Tribunale di sorveglianza di
Napoli rigettava il reclamo proposto da P.S.R. avverso l'ordinanza del
19 novembre 2018, con la quale il Magistrato di sorveglianza di Avellino
aveva respinto la sua richiesta di liberazione anticipata, proposta in
riferimento al periodo detentivo dall'1 maggio 2010 all'11 novembre
2017, sofferto presso un istituto penitenziario della Repubblica
Dominicana.
A fondamento della decisione il Tribunale rilevava che la carcerazione
patita all'estero non poteva esse valutata quale detenzione sofferta in
Italia per la possibile diversità dei presupposti richiesti per la
concessione di benefici penitenziari e per la possibile applicazione di
altri istituti, già ottenuta dal reclamante durante lo stesso periodo
detentivo, e che comunque anche la certificazione conseguita circa la
buona condotta tenuta non riguardava l'intero arco temporale, oggetto
dell'istanza.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per
mezzo del suo difensore, il P. , che ne ha chiesto l'annullamento per
violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606
c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all'art. 54 ord. pen. e
art. 738 c.p.p.. Secondo il ricorrente, il Tribunale di sorveglianza ha
disatteso il reclamo, richiamando la pronuncia della Corte di cassazione
n. 3101.2 del 6/6/2012, che ha ritenuto valutabili i periodi di
detenzione all'estero soltanto se ciò si sia verificato in paesi
dell'Unione Europea. Non ha considerato che altra pronuncia di
legittimità, la n. 19447 del 22/12/2017, aveva espresso principio meno
restrittivo in riferimento a carcerazioni sofferte anche in ambito
extraeuropeo ed in particolare in Canada; il Tribunale di sorveglianza
ha ignorato la deduzione difensiva, sebbene agli atti fossero presenti
la legge di ratifica ed esecuzione del Trattato sul trasferimento delle
persone condannate tra lo Stato Italiano e quello di detenzione, la
relazione comportamentale, dalla quale si evinceva che durante il
periodo di riferimento il ricorrente aveva tenuto una ottima condotta,
la sentenza di riconoscimento di quella straniera, dalla quale era
possibile desumere che egli non aveva potuto godere di analoghi benefici
nel corso della carcerazione all'estero.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, Dott.ssa Coccomello
Assunta, ha depositato requisitoria scritta e ha concluso per il rigetto
del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
1. L'impugnazione all'odierno esame pone un'unica questione in punto di
diritto, che riguarda la valutabilità, ai fini dell'applicazione della
liberazione anticipata, di periodi di carcerazione che siano stati
espiati nel territorio di uno stato estero. Nel caso in esame, la pena
espiata parzialmente dal ricorrente nel territorio della Repubblica
Dominicana riguarda il medesimo titolo emesso dall'autorità giudiziaria
di quel paese, che, a seguito del suo riconoscimento e della traduzione
del condannato nel territorio nazionale, è attualmente in esecuzione in
Italia.
1.1. Il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto di confermare la
soluzione reiettiva a ragione di un duplice rilievo: per essere stata la
detenzione espiata in Stato non facente parte dell'Unione Europea, il
che ne pregiudicherebbe la considerazione ai fini della concessione del
beneficio invocato, e per l'insufficienza dimostrativa della
certificazione di buona condotta, rilasciata dall'autorità penitenziaria
estera, riguardante comunque un periodo detentivo inferiore a quello
per il quale l'istanza era stata avanzata.
1.2. Sotto il primo profilo considerato, il Tribunale di sorveglianza
ha dichiaratamente inteso allinearsi all'insegnamento maggioritario di
questa Corte (sez. 1, n. 21373 del 19/04/2013, Porcacchia" rv. 256084;
sez. 1, n. 14357 del 13/02/2013, Fragalà rv. 255342; sez. 1, n. 10724
del 08/11/2012, Gisana, rv. 255432; sez. 1, n. 31012 del 06/06/2012,
Paci, rv. 253292; sez. 1, n. 46805 del 24/10/2012, dep. 2013, D'Anna,
non massimata), secondo il quale il beneficio regolamentato dall'art. 54
ord. pen. in favore del detenuto, che fornisca prova di partecipazione
all'opera di rieducazione, è applicabile ai periodi di detenzione
espiati in uno Stato estero per fatti giudicati nello stesso paese, ma
soltanto a condizione che questo rientri nella Comunità Europea e che
l'espiazione sia poi stata completata nello Stato italiano. Con il
richiamato arresto è stato superato l'orientamento più restrittivo,
precedentemente affermatosi, secondo il quale "in tema di esecuzione in
Italia di sentenza straniera, la liberazione anticipata può trovare
applicazione solo con riferimento al periodo della esecuzione della pena
in Italia e non con riguardo al periodo di esecuzione sofferto nello
Stato di condanna" (sez. 1, n. 33520 del 07/07/2010, Aita, rv. 248125).
1.3. La soluzione recepita dall'ordinanza impugnata, che la fa propria,
ma senza argomentarne le ragioni giustificatrici, si basa sulle
seguenti considerazioni:
- il testo letterale dell'art. 54 ord. pen. non distingue se la detenzione da prendere in esame sia quella inflitta da un giudice italiano, ovvero da un giudice straniero, nè se la stessa sia stata in parte espiata in struttura carceraria estera;
- il principio della fungibilità delle detenzioni espiate in stati diversi, stabilito dall'art. 738 c.p.p., trova significativa espressione nel processo di integrazione giuridica tra stati della Unione Europea;
- la previsione del D.Lgs. n. 161 del 2010, art. 16, comma 1, nel dare esecuzione nel diritto interno alla decisione quadro 2008/909/GAI, volta all'armonizzazione dei sistemi esecutivi ed a una loro sostanziale fungibilità, ha stabilito che "la pena espiata nello Stato di emissione è computata ai fini della esecuzione";
- la Convenzione di Strasburgo del 1983 sul trasferimento delle persone condannate stabilisce che, con riguardo alla prosecuzione della esecuzione (art. 10, comma 2), "se la sua legge lo esige", lo Stato di esecuzione "può, per mezzo di una decisione giudiziaria o amministrativa, adattare la sanzione alla pena o misura prevista dalla propria legge interna per lo stesso tipo di reato";
- i principi costituzionali inducono a dare pratica attuazione agli
istituti normativi nazionali ai fini della risocializzazione del
detenuto e della garanzia di parità di trattamento quanto alla
valutazione della pena, a prescindere dal luogo in cui sia espiata,
anche in rapporto ad altri detenuti che non hanno subito in parte
l'espiazione all'estero.
2. Osserva il Collegio che nella giurisprudenza di legittimità
l'ostacolo alla considerazione della detenzione patita all'estero ai
fini dell'accesso alla misura della liberazione anticipata, in
dipendenza della difficoltà di armonizzare le differenti legislazioni
nazionali, quella dello Stato di condanna e quello di esecuzione
richiesto di applicare il beneficio, non è considerato assoluto ed
insuperabile. Già in passato, prima che si affermasse la posizione di
limitata apertura, espressa a partire da sez. 1, n. 31012 del
06/06/2012, Paci, rv. 253292, in riferimento ai periodi di carcerazione
sofferti nei paesi dell'Unione Europea, questa Corte si era mostrata
favorevole a considerare in termini possibilisti la detenzione trascorsa
all'estero, sebbene in assenza della sottoposizione del condannato ad
attività trattamentali, quando la prova della partecipazione al percorso
rieducativo fosse desunta da altri elementi significativi della volontà
di superare l'esperienza criminosa e di mutare stile di vita (sez. 1,
n. 2304 del 09/04/1996, Ronch, rv. 204923; sez. 1, n. 3193 del
15/07/1987, Ciaccio, rv. 176906; sez. 1, n. 17229 del 27/02/2001,
Fidanzati, rv. 218745; sez. 1, n. 6204 del 12/11/1999, Gstrein, rv.
214832).
Ulteriore significativa evoluzione dei medesimi principi si riscontra,
come già detto, col riconoscimento della valutabilità della parziale
espiazione della pena all'estero quando verificatasi in ambito Europeo,
compresi i casi di sottoposizione del soggetto, in attesa di
estradizione, a custodia cautelare in base a mandato di arresto
internazionale e della conseguente considerazione quale presofferto del
relativo periodo (sez. 1, n. 32275 del 16/02/2018, Medina, n. m.; sez.
1, n. 21373 del 19/04/2013, Porcacchia, rv. 256084; sez. 1, n. 7917 del
08/11/2012, dep. 2013, Gradica, n. m.).
2.1. L'ordinanza impugnata ha omesso di confrontarsi con il descritto
percorso evolutivo della giurisprudenza di legittimità e non ha
considerato che la rigidità del principio di diritto recepito non può
considerarsi incontrastato perché ha ricevuto recente smentita dalla
sentenza sez. 1, n. 19447 del 22/12/2017, dep. 2018, Andrianò, n. m.,
che ha riconosciuto la possibilità di apprezzare il periodo detentivo
anche se espiato al di fuori dell'ambito dell'Unione Europea, basandosi
su argomenti che il Collegio ritiene di avvalorare e di dover
ulteriormente sviluppare.
Va condivisa l'osservazione di quest'ultima pronuncia, secondo la quale
molti degli argomenti che hanno indotto a superare la tradizionale
chiusura al riconoscimento della liberazione anticipata per la pesa
scontata all'estero mantengono eguale valore e forza persuasiva anche se
riferiti alla detenzione espiata in Stati extraeuropei. Tanto vale
certamente per i principi costituzionali che presiedono all'esecuzione
penale e che pretendono la pena funzionale alla rieducazione del
condannato, che orientano l'interpretazione ed applicazione degli
istituti del diritto penitenziario ed operano in egual misura in
riferimento a qualsiasi esperienza segregativa.
Anche la considerazione del tenore letterale dell'art. 54 ord. pen.
milita a favore della medesima conclusione, poiché la disposizione non
contiene distinzioni di natura territoriale, ma si riferisce solamente
ai semestri di "pena scontata" con la precisazione che per tale si deve
ritenere anche il periodo espiato in regime di custodia cautelare e di
detenzione domiciliare. Tale dato ermeneutico assume rilievo ed immutata
validità, a prescindere dal luogo in cui la detenzione venga sofferta e
quindi dalla sua localizzazione all'interno o meno del territorio
nazionale.
2.2. Nel contesto dell'acritico recepirnento dell'indirizzo
interpretativo giurisprudenziale, alla considerazione del Tribunale di
sorveglianza è altresì sfuggita la disciplina dettata dai sistema
processuale interno sul tema dei rapporti con Stati esteri non partecipi
dell'Unione Europea nell'ambito della cooperazione giudiziaria e degli
effetti delle sentenze penali straniere, come modificata dal D.Lgs. 3
ottobre 2017, n. 149.
2.2.1. Viene in rilievo la disposizione di cui all'art. 735 c.p.p., a
norma dei cui commi 4 e 4-bis, quando sia operato il riconoscimento
della sentenza penale emessa da autorità di altro Stato, alla corte di
appello che vi proceda è riconosciuta la possibilità: a) di applicare la
sospensione condizionale della pena e la liberazione condizionale
quando nella sentenza estera l'esecuzione sia stata condizionalmente
sospesa o il condannato sia stato liberato sotto condizione, così
sostituendo gli istituti originariamente applicati con quelli similari
della legislazione italiana; b) di modulare le prescrizioni inerenti la
libertà vigilata in termini non aggravati rispetto a quanto disposto nel
provvedimento straniero; c) di adattare altri eventuali benefici,
diversi da quelli previsti al comma 4 e riconosciuti dallo Stato di
emissione, mediante la loro conversione in misure analoghe previste
dall'ordinamento nazionale, così ampliando anche gli strumenti per la
risocializzazione del condannato oltre i limiti di fruibilità di
sospensione e liberazione condizionale.
Inoltre, l'art. 738 c.p.p., comma 2, stabilisce che "nei casi di
riconoscimento ai fini dell'esecuzione della sentenza straniera le pene e
la confisca conseguenti al riconoscimento sono eseguite secondo la
legge italiana. La pena espiata nello stato di condanna è computata ai
fini dell'esecuzione". La norma riconosce espressamente la fungibilità
tra la pena espiata nello Stato di condanna e quella ancora da eseguire
nello Stato in cui deve proseguire l'esecuzione e, nell'interpretazione
già offertane da questa Corte, si è affermato che la lettura coordinata
dell'art. 738 con l'art. 735 c.p.p., fonda il diritto del condannato di
non subire un trattamento punitivo più gravoso di quello irrogato
dall'autorità straniera e di mantenere eventuali benefici
riconosciutigli dalla legislazione estera ed accordati durante
l'esecuzione già avvenuta, come nel caso della liberazione condizionale o
della liberazione anticipata (sez. 1, n. 11425 dell'11/02/2004,
Sciabica, rv. 227821; sez. 1, n. 3876 del 3/06/ 1996, Rotterdam, rv.
205344; sez. 1, n. 17162 del 28/02/1997, Giacon, rv. 207188; sez. 6, del
3/11/1995, De Curtis, rv. 203861).
È ben vero che la disciplina codicistica in esame, a norma dell'art.
696 c.p.p., ha natura residuale ed è applicabile soltanto in assenza di
convenzioni internazionali e del diritto internazionale generale o,
comunque, nei limiti in cui tale normativa lasci privi di
regolamentazione singoli aspetti della materia dell'esecuzione penale
(sez. 1, n. 42895 del 27/10/2009, Arjan, rv. 245549; sez. 6, n. 35895
del 12/07/2004, Orkisz, rv. 230014; sez. 1, n. 4023 del 10/10/2003, dep.
2004, Spinelli, rv. 2270510).
2.2.2. A fronte del descritto contesto normativo, diviene necessario
verificare l'eventuale esistenza di una disciplina pattizia applicabile
nei rapporti fra lo Stato di condanna, ove sia stata scontata la
detenzione oggetto di verifica, e lo Stato italiano e di una specifica
disposizione regolatrice del trattamento dei detenuti propria dello
Stato estero, onde stabilire, nel quadro di tutti gli elementi in
concreto acquisibili, se possano ricavarsi indicazioni utili per
l'applicazione dell'art. 54 c.p., che, sul piano dei principi, non può
escludersi in via assoluta e definitiva.
Al riguardo dai giudici di merito nessuna attenzione è stata posta al
Trattato bilaterale sul trasferimento di persone condannate, stipulato
tra il Governo della Repubblica Italiana ed il Governo della Repubblica
Dominicana in data 14 agosto 2002, ratificato con la L. 5 marzo 2010, n.
46. In particolare, rileva che con tale strumento pattizio gli Stati
contraenti, replicando analoghe disposizioni della Convenzione di
Strasburgo del 21 marzo 1983, regolante la medesima materia, abbiano
individuato un obbiettivo comune: quello di favorire "il reinserimento
sociale delle persone condannate", quale scopo cui tendono le pene. A
tale finalità sono ispirate le disposizioni successive, il cui contenuto
e la cui interpretazione logico-sistematica è stata omessa dai giudici
di merito nella conduzione di una disamina che sul piano delle fonti
normative è gravemente carente.
L'art. 8, paragrafo secondo, stabilisce che "l'esecuzione della
condanna è regolata dalla legge dello Stato di esecuzione e questo Stato
è l'unico competente a prendere ogni decisione al riguardo" così
conferendo all'autorità giudiziaria del paese in cui sia avvenuto il
trasferimento del condannato il potere di decidere circa l'ammissibilità
degli istituti che regolano la espiazione della pena. Lo stesso
articolo al paragrafo terzo prevede che "lo Stato di condanna non può
più eseguire la pena se lo Stato di esecuzione considera la pena
interamente espiata", il che equivale alla conferma del potere esclusivo
di valutare e disciplinare l'andamento e la durata della espiazione
della pena detentiva, anche mediante applicazione di istituti più
favorevoli, in capo allo Stato di esecuzione. L'art. 9 del Trattato
riconosce, in caso di protrazione dell'esecuzione a seguito del
trasferimento del condannato, sia il divieto di reformatio in peius in
suo danno, sia il potere di adattamento, a mezzo di decisione
giudiziaria o amministrativa, della sanzione alla legislazione dello
Stato di esecuzione, il che comporta la possibilità che nella
rimodulazione della pena non possa superarsi il limite massimo di quella
inflitta col titolo di condanna, formatosi all'estero, e nemmeno lo
stesso limite previsto dalla legge dello Stato di esecuzione, il che, a
contrariis, non esclude che possa scendersi al di sotto della soglia
minima. L'art. 5 disciplina poi le reciproche informazioni che i
contraenti si devono scambiare, prevedendo che lo Stato di condanna
trasmetta a quello di esecuzione notizie "d) sulla natura, durata e data
di inizio della condanna;... sulla custodia cautelare sui condoni di
pena o su qualsiasi altro elemento relativo all'esecuzione della
condanna; g)...ogni informazione sul trattamento nello Stato di condanna
e ogni raccomandazione per la prosecuzione del trattamento nello Stato
di esecuzione". Nell'ambito dello scambio di informazioni rientrano
anche le notizie riguardanti l'eventuale applicazione di grazia,
amnistia ed indulto ed il momento in cui deve considerarsi cessata
l'esecuzione della condanna.
2.2.3. L'analisi della disciplina pattizia applicabile al caso di
specie convince che, a seguito del trasferimento del condannato, nello
Stato che l'ha ricevuto si apre un procedimento giurisdizionalizzato che
impone la ricognizione ed il rispetto di natura e durata della pena
inflitta con la condanna e, in caso di incompatibilità della stessa con
la legge dello Stato in cui deve proseguire l'esecuzione, l'adattamento
alla sua legislazione con il limite invalicabile del divieto di
sottoporre il soggetto ad un regime punitivo deteriore in termini
quantitativi rispetto alla sanzione massima prevista per lo stesso reato
dalla legge dello Stato di esecuzione. Tanto però non autorizza a
ritenere che, quanto alle modalità del trattamento penitenziario, non
possa farsi applicazione delle misure ad esso relative nella fase
dell'esecuzione secondo la normativa vigente nello Stato di esecuzione,
in conformità a quanto già riconosciuto in passato in riferimento agli
istituti di diritto penitenziario della liberazione anticipata e
dell'affidamento in prova (sez. 1, n. 42895 del 27/10/2009, Arjan, rv.
245549; sez. 6, n. 42996 del 7/10/2003, Mazzucchetti, rv. 228190; sez.
1, n. 2601 del 30/03/1999, Di Carlo, rv. 213490).
In conclusione, quale ulteriore sviluppo della riflessione teorica
sull'istituto al quale il ricorrente ha chiesto di poter accedere, può
formularsi il seguente principio di diritto: "Quando, a seguito di
trasferimento in Italia del cittadino italiano, condannato a pena
detentiva con sentenza irrevocabile emessa da autorità giudiziaria di
paese estero, si debba completare l'espiazione della pena nel territorio
nazionale, il beneficio della liberazione anticipata può essere
applicato con riferimento al periodo di detenzione espiato nello Stato
estero, anche se estraneo all'Unione Europea, a condizione che esistano
disposizioni, contenute in convenzionali bilaterali o facenti parte del
diritto internazionale generale, che consentano all'autorità giudiziaria
italiana l'applicazione degli istituti dell'ordinamento interno,
riguardanti il trattamento penitenziario, nella sussistenza di tutte le
altre condizioni previste dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 54".
3. La valutazione critica del provvedimento impugnato in base ai
superiori principi convince della sua illegittimità sotto diversi
profili.
3.1. Per quanto già esposto, l'affermazione in termini assoluti
dell'impossibilità di considerare il periodo di carcerazione patito
negli istituti penitenziari della Repubblica Dominicana omette la
considerazione delle fonti normative richiamate, interne ed
internazionali, e di verificare la possibilità di condurre nel caso
specifico un'interpretazione del parametro normativo interno di
riferimento, l'art. 54 ord. pen., costituzionalmente orientata al
rispetto della funzione rieducativa della pena, criterio ispiratore
della legislazione sull'esecuzione penale anche nel paese estero ove è
stata pronunciata condanna del P. e della disciplina pattuita tra i due
Stati per il trasferimento delle persone condannate.
3.2. Sotto diverso aspetto, non è soddisfacente e non è coerente con il
modello procedurale regolato dall'art. 666 c.p.p., comma 5, richiamato,
come tutte le disposizioni sull'esecuzione, dall'art. 678 c.p.p., il
giudizio di insufficienza della certificazione di buona condotta,
rilasciata dall'autorità penitenziaria dominicana, anche perché non
riguardante l'intero periodo detentivo espiato in quel paese.
Nell'ambito dei poteri istruttori, attivabili d'ufficio, riconosciuti
dal citato art. 666 e dei doverosi ed imprescindibili rapporti di
cooperazione internazionale, regolati dal Trattato bilaterale del 2002,
prima di provvedere in ordine all'istanza avanzata da P. , il Tribunale
di sorveglianza avrebbe dovuto attivare il meccanismo volto ad acquisire
e scambiare informazioni tra Stato di condanna e Stato di esecuzione al
fine di ottenere dati conoscitivi imprescindibili per la decisione e di
accertare l'eventuale esistenza nell'ordinamento giuridico dominicano
di istituti similari alla liberazione anticipata, l'eventuale fruizione
da parte del condannato durante il periodo di permanenza nelle carceri
di quel paese dello stesso beneficio o di altri incompatibili con
l'applicazione della invocata misura premiale propria del diritto
interno, l'andamento del trattamento con riguardo all'intero periodo di
restrizione all'estero, il comportamento tenuto dal detenuto, lo
svolgimento di attività lavorativa e la partecipazione ad altre
eventuali opportunità rieducative.
La mancata acquisizione di informazioni essenziali per l'apprezzamento
in punto di fatto dei presupposti applicativi della liberazione
anticipata vizia ulteriormente l'ordinanza impugnata, che va annullata
con rinvio per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Napoli, che
dovrà attenersi al principio di diritto espresso e colmare le lacune
motivazionali riscontrate.
P.Q.M.
annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Napoli.
Si dà atto che il presente provvedimento, redatto dal Consigliere BONI
Monica, è sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento
alla firma dell'estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1,
comma 1, lett. a).