LA CORTE DI CASSAZIONE SULL'OMESSO VERSAMENTO IVA DI UN'AZIENDA IN CRISI
La Corte di Cassazione torna nuovamente sul reato di omesso versamento IVA e cambia, ancora una volta, il suo orientamento.
Nella sentenza che riporto in basso, gli Ermellini hanno stabilito che il reato di omesso versamento IVA viene integrato integrato dalla scelta volontaria e consapevole di non versare l'imposta sul valore aggiunto, e a nulla rileva il fatto che la società attraversi una fase di critica e decida di destinare risorse finanziare per fare fronte a pagamenti di debiti ritenuti più urgenti. Questo elemento, infatti, fa parte dell'ordinario rischio di impresa e non giustifica in alcun modo l'inadempimento del debito con il fisco.

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Corte di Cassazione, Sez. III Penale
Sentenza 4 ottobre - 11 dicembre 2019, n. 50007
Presidente Izzo - Relatore Semeraro
Ritenuto in fatto
1. La Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 19 marzo 2019, in
parziale riforma di quella del Tribunale di Modena del 24 novembre 2016,
ha condannato B.M. , concesse le circostanze attenuanti generiche, la
sospensione condizionale della pena e la non menzione, alla pena di sei
mesi di reclusione, oltre alle pene accessorie D.Lgs. n. 74 del 2000, ex
art. 12, per il delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter,
perché in qualità di legale rappresentante della Modena Sport Car
s.r.l., non versò l'imposta sul valore aggiunto, pari ad Euro 301.900,00
dovuta in base alla dichiarazione annuale relativa all'anno d'imposta
2010, nel termine ultimo previsto per il relativo versamento
dell'acconto, il (omissis) , con fatti commessi in (...).
La corte territoriale ha, altresì, dichiarato non doversi procedere nei
confronti dell'imputato per il delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000,
art. 10-ter, commesso il (omissis) , per l'anno d'imposta 2009, con iva non versata pari ad Euro 679.995,00, perché estinto il reato per prescrizione.
2. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna, ha proposto ricorso per cassazione il difensore di B.M. .
2.1. Con il primo motivo si deducono i vizi di legge e della
motivazione, ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione alla
carenza dell'elemento soggettivo del reato e all'assenza di esigibilità
della condotta.
La Corte territoriale non avrebbe considerato le censure e le
allegazioni difensive, atte a dimostrare: l'impossibilità di addebitare
al ricorrente la crisi economica e finanziaria che aveva colpito la
società; l'appartenenza della Modena Sport Car s.r.l. ad un gruppo
aziendale più vasto, al cui vertice vi era il Dott. F.V. che aveva
compiuto ingenti interventi finanziari per dare sostegno alle proprie
aziende nel periodo della crisi; l'impossibilità oggettiva di omettere
il pagamento degli stipendi e del principale fornitore del gruppo,
ovvero le case automobilistiche, non essendo altrimenti possibile
proseguire le attività d'impresa.
Si contesta la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui:
sostiene che la crisi finanziaria d'impresa non inciderebbe sul dolo
generico; esclude che possa ravvisarsi una causa di forza maggiore;
considera la scelta di preservare la vita aziendale un'omissione
cosciente e volontaria e non una scelta obbligata. Su quest'ultimo
punto, si richiamano le sentenze n. 5467 del 2013, n. 19426 del 2014 e
n. 12906 del 2018.
Nel caso di crisi di liquidità, che non dipenda da scelte di non far
fronte all'obbligo tributario, il dolo potrebbe essere escluso se
l'imputato, osservando oneri di allegazione e di prova rigorosi,
dimostri che le difficoltà economiche non siano a lui imputabili e che
le stesse non possano essere fronteggiate, nemmeno con misure
sfavorevoli al proprio patrimonio personale.
Il ricorrente avrebbe dato la prova dell'assenza di dolo: nonostante la
crisi, avrebbe continuato a pagare i fornitori e gli stipendi dei
lavoratori, cercando di non interrompere la continuità aziendale, così
come confermato dal teste D.P. . Nonostante l'esito improduttivo, a
causa di una concomitante crisi del mercato degli immobili, il Dott.
F.V. avrebbe, perfino, ipotecato un proprio bene personale per contenere
gli oneri finanziari e ridare operatività alle società controllate, tra
cui quella di cui l'imputato era il legale rappresentante.
Sarebbe errato porre il soggetto nelle condizioni di scegliere se
privilegiare la remunerazione dei fattori produttivi per perseguire la
sopravvivenza dell'azienda o se adempiere agli oneri tributari, e,
soprattutto far dipendere da tale scelta la sussistenza o meno del dolo
richiesto per l'integrazione del reato, con menzione della sentenza
delle S.U. n. 34725 del 2013.
Le norme sul concordato preventivo ed il nuovo codice della crisi
d'impresa e dell'insolvenza prevedono la postergazione dei crediti
tributari rispetto a quelli del lavoro.
2.2. Con il secondo motivo si contesta la violazione dell'art. 37 c.p..
La corte territoriale, nel dichiarare non doversi procedere perché
estinto per prescrizione il fatto commesso il (OMISSIS) , ha
rideterminato la pena principale finale in mesi sei di reclusione, ma
non avrebbe ridotto la durata della sanzione accessoria
dell'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e
delle imprese, in egual misura, peraltro, rispettando il minimo edittale
previsto dalla disposizione normativa.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è infondato, avendo la Corte di appello
fatto corretta applicazione delle norme e dei principi giurisprudenziali
ed essendo la motivazione immune da vizi.
1.1. È incontestato sia l'omesso versamento dell'Iva, per altro per due
anni, sia l'effettiva riscossione delle somme che il ricorrente, quale
legale rappresentante, avrebbe dovuto versare a titolo di Iva.
Secondo lo stesso ricorrente, le somme percepite a titolo di Iva sono
state destinate al pagamento dei fornitori e degli stipendi, per non
interrompere la continuità aziendale, e sarebbe stato fatto di tutto per
fronteggiare la crisi. La scelta di preservare la vita aziendale
costituirebbe, in sostanza, una causa di esclusione del dolo.
1.2. La tesi difensiva è infondata in diritto; contrariamente a quanto
si afferma nel ricorso la giurisprudenza è consolidata quanto alla
valutazione della crisi di impresa in relazione al reato D.Lgs. n. 74
del 2000, ex art. 10-ter.
1.3. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, il reato di
cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, è di natura omissiva e
istantanea; è punibile a titolo di dolo generico che consiste nella
coscienza e volontà di non versare all'Erario le somme dovute a titolo
di Iva del periodo considerato.
1.3.1. La prova del dolo è insita in genere nella presentazione della
dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di
imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre
la soglia, entro il termine lungo previsto.
Per la sussistenza del reato in questione non è richiesto il fine di
evasione, tantomeno l'intima adesione del soggetto alla volontà di
violare il precetto.
Cfr. nello stesso senso Sez. 3 n. 43599 del 09/09/2015, Mondini, Rv.
265262, che ha affermato che la scelta di non pagare l'imposta dovuta
prova il dolo: infatti, la scelta imprenditoriale attiene ai motivi a
delinquere e non può pertanto minimamente escludere la sussistenza del
dolo.
1.3.2. Come indicato da Sez. 5, n. 23026 del 03/04/2017, Mastrolia, Rv.
270145 - 01, in motivazione, l'esimente della forza maggiore ex art. 45
c.p. sussiste in tutti i casi nei quali l'agente abbia fatto quanto era
in suo potere per uniformarsi alla legge e che per cause indipendenti
dalla sua volontà non vi era la possibilità di impedire l'evento o la
condotta antigiuridica.
Pertanto, la forza maggiore non può che riferirsi ad un avvenimento
imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri
comportamenti, impedendo di configurare un'azione penalmente rilevante
per difetto del generale requisito della coscienza e volontarietà della
condotta previsto dall'art. 42 c.p., comma 1.
Tale interpretazione dell'esimente in oggetto è quella che meglio si
sposa non solo con il significato fatto proprio dall'espressione, la
quale prefigura la situazione di un soggetto assolutamente privo della
possibilità di sottrarsi a una forza per lui irresistibile (in proposito
si dice che il soggetto non agit, sed agitur), ma anche con il dato
normativo, giacché, da una parte, l'art. 46 c.p. enuclea un'ipotesi
speciale di forza maggiore disciplinando il costringimento fisico,
peraltro esplicitandone i caratteri e, dall'altra, l'art. 54 c.p. regola
l'ipotesi diversa in cui la volontà dell'autore sia coartata in modo
non assoluto bensì relativo, residuando in capo al soggetto un margine
di scelta.
1.3.3. Applicando tali principi al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter,
la sentenza Mondini, alla cui motivazione si rimanda per la
ricostruzione sistematica, ha affermato la forza maggiore sussiste solo e
in tutti quei casi in cui la realizzazione dell'evento stesso o la
consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all'assoluta ed
incolpevole impossibilità dell'agente di uniformarsi al comando, mai
quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità.
Poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto
imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla
condotta dell'agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi
dell'evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un'azione od
omissione cosciente e volontaria dell'agente, la Corte di Cassazione ha
sempre escluso che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto
agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (Sez. 3,
n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv, 238986).
1.3.4. Nello stesso solco si pone la sentenza di Sez. 3 del 13 novembre
2018, n. 12906, Canella, citata dalla difesa, che ha affermato che il
reato di omesso versamento IVA è integrato dalla scelta consapevole di
omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che la
società attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie
per far fronte al pagamento di debiti ritenuti più urgenti, elemento che
rientra nell'ordinario rischio di impresa e che non può certamente
comportare l'inadempimento dell'obbligazione fiscale contratta con
l'erario.
La sentenza Canella ha poi aggiunto che "Tale elemento può rilevare
come causa di forza maggiore di cui all'art. 45 c.p., solo se siano
assolti gli oneri di allegazione idonei a dimostrare non solo l'asserita
crisi di liquidità, ma anche che detta crisi non sarebbe stata
fronteggiabile tramite il ricorso ad apposite procedure da valutarsi in
concreto, non ultimo il ricorso al credito bancario. L'imprenditore deve
quindi provare di aver posto in essere, senza successo per causa a lui
non imputabile, tutte le misure (anche sfavorevoli per il proprio
patrimonio personale) idonee a reperire la liquidità necessari per
adempiere il proprio debito fiscale...".
1.3.5. Con riferimento ad altra ipotesi di reato, Sez. 3, n. 43811 del
10/04/2017, Agozzino, Rv. 271189 - 01, ha affermato che il reato di
omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo
generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i
versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in
presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare
preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla
manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell'attività di
impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all'erario,
essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all'atto
della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio
obbligo contributivo, anche se ciò comporta l'impossibilità di pagare i
compensi nel loro intero ammontare.
1.4. Va poi ricordato che Sez. U, n. 37424 del 28/03/2103, Romano, Rv.
255757, hanno affermato che il debito verso il fisco relativo ai
versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni
imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d'imposta effettua tali
operazioni riscuote già (dall'acquirente del bene o del servizio) l'IVA
dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l'Erario, organizzando le
risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione
tributaria.
L'obbligo di accantonamento è strettamente collegato alla natura
giuridica di profitto del reato delle somme non versate a titolo di Iva.
1.5. Di tale profitto, infatti, è prevista la confisca obbligatoria
D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 12-bis, anche per equivalente; le somme
non versate a titolo di Iva, pertanto, sono destinate in caso di
condanna ad essere sottratte al patrimonio del reo, essendo già a monte
destinate alla collettività. Nè è possibile che consentire che l'autore
del reato possa autofinanziarsi con risorse non proprie, con quelle
destinate alla collettività, percependo così il profitto illecito del
reato e reimpiegandolo, sottraendolo così anche alla confisca
obbligatoria.
1.6. Per come ricostruiti i fatti in sentenza, non può minimamente
ritenersi sussistente la forza maggiore nè inesistente il dolo.
La crisi aziendale risalirebbe al 2008, quindi non era affatto un
evento imprevisto ed imprevedibile nel 2010 e nel 2011, anni in cui è
maturato il debito iva ed in cui scadeva il termine lungo per il
pagamento; le perdite secondo quanto riportato in sentenza, erano in
diminuzione dal 2008, e nell'esercizio 2010, come notato dalla Corte di
appello, erano di Euro 167.000.
A fronte dell'analisi dei dati documentali la Corte di appello ha
ritenuto che la crisi aziendale non fosse assoluta; che l'omesso
versamento dell'iva fu solo il frutto della scelta volontaria e
discrezionale dell'imprenditore, il quale, pur avendo le risorse,
essendo risultato provato che l'iva da versare era entrata nel
patrimonio sociale, aveva scelto di pagare altri creditori. Dunque, la
motivazione è del tutto immune da vizi ed ha correttamente applicato i
principi di diritto prima enucleati, dimostrando la sussistenza del
dolo.
2. Il secondo motivo è fondato limitatamente alla pena accessoria
dell'interdizione degli uffici direttivi delle persone giuridiche e
delle imprese di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12.
Le pene accessorie di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12, comma 2,
lett. b), c) sono state applicate nel minimo e non possono essere
ridotte ulteriormente. La durata della pena accessoria di cui alla lett.
d) è fissa e non può essere modificata.
2.1. La durata della pena accessoria di cui alla lett. a) fu fissata in
primo grado in misura pari alla pena inflitta, tenuto conto
dell'orientamento di Sez. 3, n. 14954 del 02/12/2014, rv. 263045.
2.2. Tale orientamento è stato però superato dall'interpretazione,
anche costituzionalmente orientata, espressa da Sez. U, con la sentenza
n. 28910 del 28/02/2019, Suraci, Rv. 276286 - 01, per cui "La durata
delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non
fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di
essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai
criteri di cui all'art. 133 c.p. e non rapportata, invece, alla durata
della pena principale inflitta ex art. 37 c.p.".
In motivazione le Sezioni Unite hanno affermato che la regola della
equiparazione meccanica della durata della pena accessoria a quella
della pena principale in concreto inflitta assume una funzione
residuale, cui fare ricorso nei casi in cui la legge in astratto sia
priva di qualsiasi indicazione sul profilo temporale che circoscriva e
guidi l'esercizio del potere dosimetrico del giudice.
Ne consegue che la durata della pena accessoria deve essere rideterminata secondo il nuovo orientamento delle Sezioni Unite.
2.3. Ritiene la Corte che, ai sensi dell'art. 620 c.p.p., lett. l),
tenuto conto di quanto riportato nelle sentenze di merito, può
procedersi alla rideterminazione della pena accessoria nel minimo di
mesi 6, secondo il criterio già adoperato per le altre pene accessorie.
Pertanto, il ricorso può essere accolto limitatamente alla durata della
pena accessoria dell'interdizione degli uffici direttivi delle persone
giuridiche e delle imprese di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12,
lett. a) la cui durata si riduce a 6 mesi.
Va infine rilevato che il termine di prescrizione non è decorso,
dovendo essere considerato anche il periodo di sospensione della
prescrizione dal 12 giugno 2014 al 9 aprile 2015, per 301 giorni. Il
termine decorrerebbe dal 23 aprile 2020.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla durata
della sanzione accessoria dell'interdizione degli uffici direttivi delle
persone giuridiche e delle imprese, durata che ridetermina in mesi 6.
Rigetta il ricorso nel resto.