I GIUDICI SBAGLIANO: ANNULLATA CONDANNA A TRUFFATORE DI UTENTI AL BANCOMAT.

29.01.2020

I giudici sbagliano, lo fanno spesso, sia nelle valutazioni, sia nelle determinazioni che traducono in sentenza.
Quello del post che scrivo qui in basso, riguarda il caso di un uomo che installa un dispositivo in grado di intercettare i pin ed i dati di chi inseriva una carta in un bancomat di Poste Italiane.
La Corte d'Appello, tuttavia, commette un errore clamoroso e grossolano che ha comportato l'annullamento della sentenza.

Che reato commette chi utilizza strumenti atti a clonare e a carpire dati delle carte bancomat di altri utenti?

Chi installa apparecchiature ad uno sportello bancomat idonee allo scopo di carpire dati bancari altrui commette il reato di "installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche", previsto dall'art. 617 quinquies del codice penale.

Nel caso che stiamo esaminando, l'imputato aveva installato una fotocamerina in grado di registrare i codici pin delle card inserite in uno sportello ATM di Poste Italiane. 

L'inquadramento giuridico della vicenda

Premesso che la installazione abusiva di apparecchiature atte ad intercettare comunicazioni relative ad un sistema informatico, mediante il posizionamento nel "postamat" di un ufficio postale di una fotocamera digitale, integra il delitto di cui all'art. 617 quinquies c.p., considerato che l'intercettazione implica l'inserimento nelle comunicazioni riservate, traendo indebita conoscenza delle stesse (Sez. 5, n. 3252 del 05/12/2006 Rv. 236035), deve considerarsi che il reato in questione è strutturato come un reato di pericolo, e, pertanto, per la sua sussistenza, non è necessario accertare, ai fini della sua consumazione, che i dati siano effettivamente raccolti e memorizzati (Sez. 5, n. 36601 del 09/07/2010 Rv. 248430). È noto, infatti, che nell'ambito della categoria dogmatica dei reati di pericolo - nei quali è sufficiente, ai fini dell'incriminazione, che il bene tutelato sia stato minacciato - in quelli c.d. di pericolo concreto - quale è quello di cui all'art. 617 quinques c.p. - il pericolo rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice, onde spetta al giudice, in base alle circostanze concrete del singolo caso, accertarne la esistenza. Diversamente, nei reati di pericolo presunto il legislatore presume, in base a regole di esperienza, che al compimento di determinate azioni si accompagni l'insorgere del pericolo, sicché il giudice è dispensato dallo svolgere ulteriori indagini circa la verificazione della messa in pericolo del bene, che si accompagna, tipicamente o generalmente, al compimento della condotta, poiché il pericolo non assurge a elemento costituito del reato, e il reato sussiste anche se il pericolo non si è in concreto realizzato, non essendo ammessa, peraltro, prova contraria della sua effettiva esistenza.

Perché i giudici hanno sbagliato.

Alla luce di tutto quanto ho riferito poco sopra e con riferimento, dunque, alla fattispecie di cui all'art. 617 quinques c.p., ciò che è necessario accertare (e che non è stato fatto) è la idoneità dell'apparecchiatura installata a consentire tale raccolta o memorizzazione dei dati. 

E' vero che, in Giurisprudenza regna il principio di diritto secondo cui " Integra il reato di installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire od interrompere comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617 quinquies c.p.) la condotta di colui che installi, all'interno del sistema bancomat di un'agenzia di banca, uno scanner per bande magnetiche con batteria autonoma di alimentazione e microchip per la raccolta e la memorizzazione dei dati, al fine di intercettare comunicazioni relative al sistema informatico. Trattandosi di reato di pericolo per la dimostrazione della sua consumazione, non' è stato necessario accertare che i dati siano effettivamente raccolti e memorizzati"; ma c'è anche da dire che nel processo in cui è stato espresso questo principio di diritto i giudici di merito avevano ricostruito le modalità, i tempi, le persone che avevano installato il congegno di lettura e ne avevano controllato il funzionamento; avevano poi accertato l'avvenuta installazione di un congegno in cui erano presenti tutti i componenti necessari per la raccolta e la memorizzazione; e rilevato l'assenza di qualsiasi elemento da cui dedurre che l'apparecchiatura fosse assolutamente inidonea a creare la situazione di pericolo sanzionata dalla legge. 

E però, invece, di tali accertamenti non vi era traccia nella sentenza della Corte d'Appello, la quale si è limitata a osservare che "non appare, quindi, necessario accertare la concreta idoneità delle apparecchiature installate nello sportello Postamat di (OMISSIS) ". 

Ma, così facendo, i giudici di merito hanno travisato il contenuto del principio di diritto al quale si sono ispirati, che, come premesso, ritiene non necessario - ma solo una volta accertata la idoneità degli strumenti alla captazione dei dati - la loro effettiva raccolta e memorizzazione. Come è stato già chiarito nella giurisprudenza di legittimità, lo strumento utilizzato deve caratterizzarsi per la sua idoneità ad eludere la possibilità di percezione della captazione da parte dei soggetti tra i quali intercorre la comunicazione, atteso che, nel senso accolto dall'art. 617 c.p., il carattere della fraudolenza qualifica il mezzo utilizzato per prendere cognizione della comunicazione, il quale deve essere, pertanto, idoneo nel senso sopra indicato. In altri termini, la presa di cognizione punita dalla disposizione citata è quella realizzata con mezzi che ne garantiscano sostanzialmente la clandestinità. (Sez. 5, n. 41192 del 17/07/2014 Rv. 261039).

Tanto è bastato per la Corte di Cassazione per annullare la sentenza emessa dalla Corte d'Appello.